"Lightning bolt", la terza età dei Pearl Jam


Ascoltarlo sì o no: 62%
Brano migliore: "Pendulum"


Mette un velo di nostalgia vedere, o meglio ascoltare, la band che t’ha segnato per tanti anni della tua vita avviata verso una serena vecchiaia di normalità. “Lightning Bolt”, sulla scia di “Backspacer”, non è un brutto album, per carità. Ma non è un album capace di reggere la prova del tempo, non aggiunge nulla alla produzione dei Pearl Jam.

Perché è un disco cauto, un disco che si accontenta di essere gradevole. Quasi che arrivati a 50 anni Vedder e soci abbiano deciso di accettare il lento incedere della terza età e non provare più a strafare. Invecchiare con classe, ma invecchiare. Come quando prendi atto che gli anni del tirare tardi la notte e la sera dopo ricominciare sono finiti. È tempo che a una notte di bagordi si preferisca una sera sul divano con film e popcorn. E allora è questo. I PJ non hanno più la voglia di spaccare il mondo dei trent’anni di rabbia e veleno dei tempi di “Ten” e “Vitalogy”, il grunge è morto e sepolto. E non c’è nemmeno il gusto del rischio in stile “No code” o “Binaural”. Il meglio arriva dalle ballate, in cui la voce di Vedder, libera di esprimersi al massimo dell’ancora altissimo potenziale, è il valore aggiunto: la conclusiva “Future days” e soprattutto “Pendulum” sono le gemme del disco. 


I PJ non guardano al loro passato e non cercano di ridisegnare il futuro della musica. Accettano con serenità il presente, con un album semplice da ascoltare, che non vuole suonare forzatamente alla moda, perché strizzare l’occhio alle nuove tendenze non s’addice proprio a una band come questa. I PJ sono cresciuti assieme ai loro fan, e proprio come i loro fan oggi vogliono cose diverse di vent’anni fa. Del resto, sarebbe un po’ comico e pure patetico vedere papà con gli occhialoni scuri ballare “Get Lucky”, no? Meglio immaginarlo col maglione sulle spalle ad ascoltare un 33 giri di Neil Young. 
I PJ del 2013 sono la ragazza di cui eri innamorato tanto tempo fa. Oggi che le vuoi semplicemente bene, quando ogni tanto ci si rivede è bello. E a volte c’è quel momento in cui una frase, un sorriso, uno sguardo, ti ricorda perché un tempo ne eri innamorato. E “Lightning Bolt” a volte ti ricorda perché t’eri innamorato dei PJ. “Sirens”, pur mancando dell’epicità dei classici passati, riesce a emozionare, perché la voce di Eddie ti riporta indietro nel tempo, è un piccolo brivido sulla pelle. Come rivederla sorridere per qualcosa che le dici, e capire che, per quanto possa essere cambiato il vostro rapporto, in un modo o nell’altro ci sarà sempre.
Ecco, questo dunque è il sapore che lascia “Lightning Bolt”. Magari i bei tempi andati non torneranno mai più; magari bisognerà abituarsi ad album più convenzionali, senza il brivido d’una volta; magari i PJ non stupiranno più, non s’inventeranno tormentoni da cantare in una festa in spiaggia, né innoveranno in alcun modo la musica. Però, per quanto possa essere cambiato il tuo rapporto con loro, in un modo o nell’altro i PJ con te ci saranno sempre.

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