Halloween: 3 horror da vedere, 3 horror da cui scappare

Non c’entra nulla con la musica, ok, ma ho sempre avuto un debole per gli horror, salvo poi rimanerne puntualmente deluso. Quando ero più giovane e vivevo in paese, la notte di Halloween, rientrato a casa, mi piaceva guardarmi un paio di horror sotto le coperte fino a tarda notte. Lasciando perdere classici e cult vari, ecco allora una lista di nuove uscite che potreste guardarvi stanotte davanti al computer, e quelle che fareste meglio ad evitare.

APPROVATI

Dark Skies (75%): Pur da vecchio appassionato di X-Files, col tempo ho trovato sempre grande delusione nei film sugli alieni. In questo caso, invece, il tema viene trattato col giusto mix tra sospensione dell’incredulità – basata sul patto con lo spettatore che pur sempre d’un film di rapimenti alieni si tratta – e verosimiglianza. La crisi economica, le difficoltà della famiglia protagonista a trovare lavoro e far quadrare i conti, la rendono credibile e permettono l’immedesimazione. Certo, meglio sarebbe stato se tutto ciò fosse diventato più funzionale alla trama invece che semplice dato di contesto. Ma i buoni spunti non mancano, e fare un film sulle abduction senza ricadere nel già visto e scontato è già di per sé interessante, con gli alieni che si fanno sempre più dei persecutori che giocano al gatto col topo col solo intento di divertirsi a terrorizzare e destabilizzare le vittime prima di colpire. In un paio di momenti si prova anche un genuino brivido di paura, il che non è male, visto che di un thriller-horror dovrebbe trattarsi. A tratti ricalca “Paranormal activity”, ma al suo contrario “Dark Skies” non è una cagata.


You’re next (70%): Il trailer mi ha attirato e ingannato, mi aspettavo un nuovo “The Strangers”. La casa isolata in campagna, gli assassini mascherati che pian piano si palesano terrorizzando i protagonisti prima di entrare in azione. Poi invece tutto si velocizza, cominci presto a capire il perché di quel che sta accadendo, che quella violenza non è casuale, e la tensione va scemando. Capisci allora che l’intento del film non è terrorizzarti ma farti provare un sadico divertimento, e ci riesce. La paura fa posto al divertimento, nel vedere attuarsi la vendetta in un bagno di sangue, mentre il film si trasforma in una sorta di “Mamma ho perso l’aereo” in versione splatter. Se l’idea di fondo vi stuzzica ma volete il terrore, allora prendete “The Strangers”. Costruito su un crescendo di tensione che si fa quasi insopportabile in attesa che da scritte sui muri, scricchiolii, apparizioni dietro alle spalle di inquietanti tizi mascherati, si passi ai fatti; è quasi un sollievo quando poi comincia effettivamente a scorrere il sangue e morire qualcuno, ponendo fine a quella tortura psicologica. Segno che il dilatarsi dell’attesa per qualcosa di brutto che sai che sta per accadere spaventa molto di più del fatto in sé. Altra cosa che rende “The Strangers” terrorizzante e “You’re Next” invece no, è la causa scatenante del massacro. Se nel secondo gli assassini agiscono per raggiungere un preciso scopo materiale e molto terreno; nel primo, quando le vittime chiedono perché gli stiano facendo questo, la risposta è: “Perché eravate in casa”. Agghiacciante.  


The Purge. La notte del giudizio (65%): Come il precedente, anche questo può rientrare nella categoria degli home invasion, anche se ambientato in un mondo parallelo distopico. Ma che è in tutto simile al reale, tranne che in un particolare: negli Usa, mandati alla rovina economica da disoccupazione e criminalità, un governo dei saggi che ha sostituito il parlamento ha trovato la soluzione per far rifiorire la comunità. Per una sola notte all’anno, per 12 ore, tutti i crimini sono legali, compreso l’omicidio, e la polizia non sarà disponibile. Lo Sfogo, così è chiamato, ha fatto sì che per il resto dell’anno la criminalità sia tornata sotto controllo, concentrandosi solo in quelle 12 ore di follia e catarsi. Il paese torna ricco e benestante, ma questo è ovviamente conseguenza del fatto che la maggior parte delle vittime dello Sfogo sono senzatetto, poveri, tutti quelli che non hanno un posto sicuro in cui rifugiarsi. Durante lo Sfogo o ti nascondi o partecipi alla carneficina, e il film segue la notte di una famiglia borghese che si barrica in casa perché “ha da passa’ ‘a nuttata”, letteralmente. Bello lo spunto, utile a chiedersi: cosa faresti, saresti gatto o topo, fin dove potresti spingerti se godessi di totale immunità? Il problema è che il film finisce col passare dei minuti nel rifugiarsi nel clichè del genere, perdendo mordente e diventando prevedibile. E anche l’idea iniziale, per quanto stimolante, pone troppi interrogativi e problemi di verosimiglianza non risolti: perché chi non vuole partecipare allo Sfogo non se ne va semplicemente fuori dagli Usa, per quella notte?, perché gruppi terroristici non radono al suolo intere città, sapendo di godere dell’immunità totale?... Insomma, vale la pena di vederlo, ma lascia l’amaro in bocca perché dà l’impressione che una bella idea sia stata sprecata.


DA EVITARE

Smiley (20%): Uno degli horror più insulsi mai visti, e basterebbe dire questo. Certo, va nella lista di quei film che sapevo già in partenza mi avrebbero irritato, quindi la colpa è mia. I protagonisti sono un branco di teenager idioti e decerebrati, che dopo uno spinello sono ridotti come se avessero trangugiato una cisterna di mdma, dicono cose senza senso e agiscono in barba a ogni istinto di sopravvivenza, facendosi beffe di Darwin e dell’evoluzionismo. In buona sostanza, non vedi l’ora che vengano fatti fuori, e nei modi più brutali possibili. La vera delusione è che ciò non accade. Ah, la trama: “Smiley” è una sorta di “Candyman” 2.0, qui è digitando tre volte una frase in una chat che l’assassino viene evocato e uccide la persona a cui stai scrivendo. Ah, certo, poi c’è il colpo di scena finale. Come no. Il 20% è perché almeno hanno avuto la decenza di farlo durare solo 80 minuti.


13/13/13 (10%): È il giorno 13 del mese 13 del 2013. Sì, perché dopo 120 anni dall’inserimento dell’anno bisestile s’è creato un nuovo mese, perché come tutti sanno i mesi sono entità concrete, non una misura convenzionalmente accettata del tempo che passa. E, come è logico che sia, questo fa impazzire tutte le persone – tranne i nati in un anno bisestile, chiaro – che diventano autolesioniste e brutalmente aggressive come Steven Siegal lasciato una settima in una gabbia senza anabolizzanti. Per quale ragione ciò accada, non lo si tenta nemmeno di spiegare. E, anzi, per i protagonisti immuni dal contagio sembra la cosa più ovvia del mondo. Dall’inizio alla fine c’è gente che si spacca vicendevolmente la testa contro al muro, si spara e ride senza un’apparente ragione. Per fortuna, alla fine muoiono tutti quanti. Almeno c’è il lieto fine.



Home Sweet Home (50%): Odio quando un horror sin lì ben condotto comincia a perdersi per strada ricalcando i soliti cliché per far sì che la trama possa reggere e andare avanti. Qualcosa che può rientrare nella categoria: “c’è un assassino in casa che ha ucciso tutti i miei amici e io ho trovato un nascondiglio sicuro dove lui ha già controllato e non mi ha trovato, ma invece che rimanere lì finché non si fa giorno o arriva la polizia, penso sia una buona idea vagare per casa senza una meta un secondo dopo che l’ombra del killer s’è allontanata da sotto la porta”. Ecco, quando questo accade normalmente perdo le staffe e con esse pure l’interesse per la sorte della vittima. Da quel momento in poi, può essere sbudellata senza pietà, se non mi dimostra che il suo errare lungo i corridoi invece che stare nascosta abbia un motivo fondato. Questo è il caso: un home invasion pure incalzante nelle premesse, col killer che stavolta non arriva da fuori ma aspetta le vittime nascosto dentro la loro stessa casa. Peccato che poi si avvii scontato nei binari dei luoghi comuni, e allora sono sbadigli anche quando partono braccia e katane nello stomaco.

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