Del Cocoricò, della nostra adolescenza alla Max Pezzali e dell'ipocrisia
Premetto che non sono mai stato al Cocoricò. Se è per
questo, non ho nemmeno mai provato ecstasy, pasticche varie, né le misteriose
proprietà rinvigorenti che sembra avere l’acqua oligominerale che circola nei
club in cui si balla fino alle otto del mattino (spoiler alert: in quali locali circolano droghe? In tutti quelli aperti dopo l'una). Ma ora non fate gli
aristotelici da bar, nessun sillogismo, non è che i due fatti siano collegati. Del
resto, ricordo bene i posti agghiaccianti che frequentavamo noi quando eravamo
abbastanza grandi da iniziare ad andare a ballare. Che, essendo cresciuti nella
profonda provincia in un’altra epoca, vuole dire quando abbiamo avuto la
sospirata patente.
Più grandi e abbandonato parte del nostro incrollabile provincialismo militante,
arrivati in città, s’è scoperta la versione un po’ più cool di quelle
angosciose e sweat-flavoured discoteche
rock. Cioè i club, tipo il Covo, tanto per dirne uno in cui ho passato più
tempo che a casa mia. Finalmente un posto dove ascoltare e ballare la musica
che ci piaceva davvero, senza doversi sentire quattro sfigati di provincia, vestiti per bene e non come scaricatori di barili di aringhe. E magari
dove avere la sensazione di aver la possibilità di beccare anche un po’ di gnocca,
già che nei locali di cui sopra la cosa era fuori questione sin dalla partenza.
Certo, il risultato alla fine era invariabilmente lo stesso, ma almeno si
poteva partire per la serata con un ingombrante bagaglio di buone intenzioni e
programmi leggendari pronti a naufragare tragicamente al secondo gintonic. Perlomeno,
ti restava sempre una storia divertente da raccontare. Del resto, ammettiamolo,
non siamo mai stati tipi da rimorchio in discoteca, e magari possiamo
consolarci di questo indubitabile dato di fatto dicendoci che eravamo persone
che potevano far interessare una ragazza a noi avendo qualcosa da raccontarle, non
manichini da una frase-acchiappo ed encefalogramma piatto a seguire. Certo, era
un pregio maggiore in un periodo in cui ancora sapere una cosa qualsiasi sul
mondo non significava automaticamente essere dei nerd. Nota a margine: credo
che pure ai vari Covo d’Italia la musica sia sempre la stessa da un decennio,
ma a trent’anni inizia a germogliare in te come una tenia il tuo Mr.Hyde fieramente
conservatore, e io se a un certo punto della serata non ho ancora sentito
“Don’t look back in anger” m’incazzo.
In tutto questo, come detto, io al Cocoricò non ci sono mai andato, non lo
rimpiango e probabilmente non ci andrò mai, e del resto dall'idea di posti in cui dopo una certa ora la maggior parte dei clienti sono ragazzi fatti come lontre non potrei essere più lontano. Cosa ti frega se
l’han chiuso, allora, chiederete. Semplicemente, non credo che il fatto che
l’evento non mi tocchi personalmente sia una buona ragione per fregarmene. Per
la stessa ragione per cui da maschio etero posso comunque sostenere i diritti di
donne e omosessuali. Per il fatto che qui quello che è in gioco va molto al di
là di un locale che chiude. Ora, io non so se in un altro contesto
spazio-temporale da ragazzino avrei potuto essere uno di quelli che si sparano
0,3 grammi di mdma e ci lasciano le penne. Forse no, ma forse sì. Anche se
buona parte dei reportage e dei commenti letti in giro in questi giorni ti fan
venire voglia di calarti due paste così, per ripicca. Se vogliamo, quel che s’è
fatto il ragazzo morto al Cocco è circa come bersi due bottiglie di vodka d’un
fiato. Solo che con la vodka a capire che magari era un po’ troppo per lui ci
sarebbe arrivato da solo, prima d’ammazzarsi, nel caso in questione avrebbe
avuto invece bisogno di qualcuno che glielo spiegasse. Solo che non si può. Si
preferisce fingere che la droga sia qualcosa legato al mondo dei tossici e
delle dipendenze patologiche, a un’immagine stile Trainspotting dei drogati
senza denti con un laccio al braccio coperti di merda per strada; piuttosto che
affrontare la realtà. E allora vi do una notizia sensazionale: la gente si
droga, da sempre. E questo non ha nulla a che fare con contesti sociali e
famigliari disagiati, depressione, o altre amenità: la gente si droga perché le va.
Questo fatto non deve piacere e non è facile da digerire per chi quel
ragazzo l’aspetta a casa in ansia, ma resta un fatto. Se a quel ragazzo qualcuno avesse spiegato
quanta era la dose giusta per avere lo sballo cercato ma al contempo
tollerabile dal proprio corpo, che doveva bere tanto dopo averla presa, cercare
un posto fresco fuori dalla confusione, se gli fosse stata data un’informazione
su cosa stava facendo, forse lo avresti salvato. E invece non se ne può
parlare, e allora il ragazzino si trova solo col suo sacchettino di polvere
magica eccitato come un mandrillo all’idea di poter ballare tutta notte e
magari trovare il coraggio di parlare con la tipa accanto, e non ha idea di
come usarlo. Del resto, tu legislatore che dovresti avere competenza e autorità
a lui per una vita hai fatto vedere che per te uno studente che ha tre piante
in casa e un narcotrafficante del cartello della meth sono alla pari, e il
ragazzino ti ride in faccia, non può più concederti alcuna credibilità e si
sentirà legittimato a provare tutto, tanto quello che gli racconti son solo le
balle di persone che vivono fuori dalla realtà. Certo, l’ideale sarebbe
convincerli a non drogarsi e basta, ma questa è utopia, giacché tutti gli
uomini di tutte le epoche han trovato un modo per sballarsi a discapito della
propria salute. Poi conta che gli uomini son stupidi, gli adolescenti ancor di
più, e più dici a qualcuno che non può fare qualcosa più gli vien voglia di
farla (certo, questa tendenza ha anche risvolti positivi: ti han detto che la
terra era il limite massimo, hai voluto andare sulla Luna e ci sei riuscito; ti
han detto che volare a Londra con 9,99 euro era impossibile e han inventato
Ryanair). Reprimere, proibire e trattare l’argomento come un tabù di cui non si
può parlare sennò si sembra conniventi e accondiscendenti ha fatto danni
terribili. È come negli Stati Uniti, dove il sesso è qualcosa che non si può
nominare agli adolescenti, si preferisce far finta che nessuno scopi prima del
matrimonio e parlare di contraccezione è come spingere i giovani a trasgredire.
Il risultato è che i giovani il sesso lo fanno comunque ma senza saperne nulla, e nove mesi dopo la
prom night ti trovi la scuola piena di bebè frignanti e ragazze madri.
E invece no. Chiudiamo il Cocoricò, diamo un bel colpo di spugna alla nostra
coscienza senza essere stati obbligati a fare qualcosa per affrontare davvero il problema. Perché
bisogna che tutto cambi affinché tutto resti come prima.
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