Santo Davide, ovvero come ti trasformo Medioman in Superman


Il 2015 è senz’altro stato l’anno dell’assunzione ai Cieli di Dave Grohl, quello in cui il leader dei Foo Fighters è passato definitivamente dal ruolo di rockstar a quello di divinità. In odore di beatificazione, l’ex Nirvana ha in pochi mesi vinto tutto moltiplicando pani e pesci e lastricando di miracoli la sua strada: prima si rompe una gamba cadendo dal palco, va in ospedale, si fa ingessare e torna un’ora dopo per finire il concerto; poi riprende il tour con gesso e trono di chitarre a fare da sfondo; ancora, chiama fan a cantare sul palco con lui, li fa piangere di gioia; e mentre un gruppo di fanatici religiosi si riunisce per protestare contro il rock blasfemo lui sfila in mezzo a loro suonando e cantando. Anche se probabilmente la santità eterna il buon Davide se l’è guadagnata rispondendo alla mobilitazione dei mille musicisti di Rockin’1000, con la promessa – in italiano – di andare a suonare a Cesena per loro, e accogliendoli nel backstage al festival di Walla Walla.
In breve, non solo per questo, ovvio, ma anche per questo, i Foo Fighters sono finiti per diventare una delle più grandi rock band in attività. Risultato mirabile, a ben guardare. La si prenda nell’accezione più affettuosa e piena di stima possibile, ma la storia di Dave Grohl è quella del Medioman che si fa Superman, di un’ottima band che si fa leggenda senza apparenti ragioni logiche. Mediocrità intesa come restare sempre a buon livello senza mai sprofondare né volare altissimo. Se ci pensate, qual è la canzone dei Foo Fighters che ha fatto davvero la storia, qual è il loro disco di cui puoi dire “ha cambiato tutto”? Non andate a controllare, non serve: non ce ne sono. I Foos hanno fatto una sequela di album tra il discreto e il molto buono, nella loro discografia non c’è un capitombolo evidente, un passo falso che ha rischiato di compromettere tutto, ma neppure un picco inarrivabile, un disco che faccia da paradigma e punto di riferimento per tutti gli altri della sua generazione. Non hanno nel loro palmares né un “Spaghetti incident” né un “(What’s the story) Morning Glory?”, per capirsi, hanno sempre mantenuto un buon livello di qualità senza mai segnare un’epoca. Volendo, questa è anche un po’ la loro forza, nel senso che non ci sarà mai nessuno che dirà “Certo, l’ultimo disco non è male, ma vuoi mettere con i classici?”. Dopotutto, non ci sarà mai nessuno a rimpiangere per davvero i fasti dell’epoca di “The colour and the shape”, no?
Nel suo eterno presente Dave Grohl ha costruito la sua immortalità, come ogni divinità che si rispetti. Dalla mediocrità, o meglio, medietà, ha estratto pepite d’oro. Diventando l’ultima rockstar vivente. Mica da tutti.

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