Hai paura de I Cani? Da Roma con "Glamour"
I Cani, "Glamour"
Ascoltarlo sì o no:
77%
Brano migliore: “Storia
di un impiegato”

Ma nel suo complesso, “Glamour” parte da un’altra prospettiva, più
consapevole. Niccolò non ci racconta delle dinamiche tra coppie o degli
stereotipi hipster e da discoclub; cose in cui tutti, o perlomeno molti, si
potevano riconoscere. Racconta se stesso, o almeno così fa pensare. Racconta
episodi di vita liminali, con cui è più difficile immedesimarsi, a meno che tu
non abbia sperimentato momenti analoghi, che a loro tempo non avevano trovato
una colonna sonora adeguata a rappresentarli. E, magari a posteriori, ci ripensi. Il punto è che Contessa è una bella penna, per quanto mi riguarda è uno di quelli che vorrei mi raccontassero anche quante volte sono andati in bagno (al contrario della maggior parte dei miei contatti Facebook, che, puntualmente, lo fanno). In
caso contrario, presterai maggiore attenzione alla musica piuttosto che ai
testi.
Qui la trasmutazione è quasi completa. E
allora ci si può chiedere come I Cani siano passati dagli 883 a suonare come avrebbero
fatto i Baustelle se non avessero iniziato a prendersi troppo sul serio
diventando terribilmente noiosi. Con variazioni sul tema, che quasi sempre li
portano però lontani dal disco d’esordio. “Glamour” è un album che vuole farsi
ascoltare un paio di volte almeno, se vi aspettavate una replica del
sorprendente esordio. A quel punto la perplessità lascia spazio alla
convinzione che è qualcosa che potrai amare. Un disco che ha tante cose da
raccontare e lo fa in modo un po’ schizofrenico, non senza sbavature, ma con un
risultato finale apprezzabile. E che farà rosicare più d’uno che ha “paura di
tutto, soprattutto dei Cani”, e non ammetterà mai che è un buon disco. Mica un
capolavoro, ma qualcosa di piacevole, interessante e maturo, soprattutto perché
non si limita a replicare se stesso.
Uno dei brani più azzeccati, “Storia di un
artista”, percorre ad esempio – e non è episodio isolato nel disco - le vie del
cantautorato pop italiano. È azzardato dire che potrebbe essere un singolo dell’ultimo
di Samuele Bersani? La canzone più in linea con l’esordio, ma solo per la linea
strumentale, è “Storia di un impiegato”, un collage di citazioni e
autocitazioni (e sì, l'autoreferenzialità a volte eccessiva è forse un handicap per il disco). Dai Diaframma a De André ai Long Island a 10 euro e le velleità
che non bastano per vivere, per dire che dopo interviste ed essere divenuti astri
nascenti di quattro poveri stronzi c’è anche una realtà da affrontare. In
qualche modo, in questo filone s’inserisce anche “Corso Trieste”, bella e
malinconica al punto giusto.
In ogni caso, il vincitore resta Mattycaos, colui che su Youtube s’è reso protagonista della recensione più profonda di tutte, nella sua cripticità, e che riflette la delusione del popolo del web per il secondo traditore album de I Cani. “Viva la fica e forza il Perugia”. Amen.
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