V per Violetta: cos'è andato storto?


Il V-Day under 14 è arrivato. È “V per Violetta”, e non ha nulla a che fare con forconi o grillismi vari (anche se, a ben vedere, comprare fascette e t-shirt per devolvere i diritti d’autore alla Disney o comprare maschere di Guy Fawkes per devolverli alla Warner Bros. poco cambia). Tra Beliebers e Directioners, ecco loro. Queste sono le V-Lovers, le giovanissime fan di Violetta, la nuova popstar creata dallo schiacciasassi marketing della Disney. Nel giorno della Befana, questa scaltra sedicenne argentina, all’anagrafe Martina Stoessel, ha mandato sold-out l’Unipol Arena di Bologna per due volte in un giorno. Con qualcosa come ventimila presenti, più o meno equamente suddivisi tra fan di età compresa tra gli 8 e il 14 anni e genitori sbuffanti – ma neppure troppo – al seguito.

Chi si scandalizzava all’ipotesi di biglietti a oltre 200 euro per i Rolling Stones, che dovrebbe dire davanti ai 215 che tanti hanno dovuto sborsare per portare le figliolette a vedere Violetta (che, per inciso, nulla ha a che fare con la giovane reggiana finalista di X-Factor)? Da 39 a 215 euro, questo il prezzo per vedere dal vivo lo show tratto dall’omonima soap opera/musical preadolescenziale targato Disney. Anche se poi, domandando tra le mamme in coda con le figlie chi abbia pagato effettivamente il biglietto da 215 euro, hai le stesse risposte di quando chiedi a qualcuno se ha votato Berlusconi: sembra non l’abbia fatto nessuno. Eppure è sold-out. Eppure ha governato per vent’anni, cazzo.

Sono perplesso, in effetti, non so cosa dovrei pensarne. Storcere il naso, scandalizzarmi, ridere, non dire nulla? Non so. Da una parte, ho la sensazione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato, in queste bambine che s’accalcano, gridano, cadono nel fango, pur di scorgere per un attimo Violetta o un altro dei protagonisti della serie. Dall’altro mi chiedo se, alla loro età, se qualcuno m’avesse detto che con 400mila lire m’andavo a vedere Holly e Benji, o i dinosauri di Jurassic Park dal vivo, non avrei forse rotto i coglioni ai miei genitori fino a quando non mi ci avessero portato. Ma quella sensazione che qualcosa sia andato storto non mi lascia, nel vedere tante undicenni che scimmiottano ragazze adulte, tra gridolina isteriche davanti al proprio idolo e corse verso il pullman della produzione. “Dai, che male c’è, in fondo la serie tv parla di amore e amicizia”, si giustifica una mamma. Ma tua figlia ha otto anni, perdio.

Oh, ve l'ho detto. Non so. 

Violetta è in fondo solo l’ultimo capitolo nella letteratura e nelle discussioni collaterali legate alla Disney. Dalle intere generazioni di bambini irrimediabilmente traumatizzati dalla prematura scomparsa della mamma di Bambi (per molti, il film più angosciante e pericoloso da proporre a un fanciullo, altro che “L’Esorcista”) ai messaggi subliminali. Oggi non si è più all’allusione, come quella storia tra realtà e leggenda metropolitana delle micro sequenze di film hard, impercettibili se non a livello inconscio, inserite per ripicca nella prima edizione de “La Sirenetta” da un disegnatore licenziato. Ora si passa all’apertamente esposto o sovraesposto della baby cantante dolce e ingenua protagonista della serie Disney “Hannah Montana”, oggi come Miley Cyrus alle prese con scandali tra droga, sesso e provocazioni gratuite a ogni piè sospinto con personaggi di dubbio gusto di cui Robin Thicke è solo l'ultimo rappresentate. Hannah Montana era un po’ la Violetta di ieri. Quelle mamme con fascette e striscioni si augurano, suppongo, che Martina Stoessel non diventi la Miley Cyrus di domani.

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