Rock in Idro, il pagellone

Lo scorso week-end a Bologna s’è tenuto il primo e unico festival dell’estate italiana, il Rock in Idro, che s’è trasferito da Milano all’Arena Joe Strummer. Dopo l’avvio da incubo con la cancellazione del Day One con Fatboy Slim, il resto della rassegna s’è svolto regolarmente, raggiungendo la quota 40mila presenze che l’organizzazione s’era posta come asticella. Ok, sappiamo tutti che i festival europei sono altra cosa, che in Italia da decenni non ne abbiamo di paragonabili e che probabilmente non ne avremo più. Ma che si sia provato a fare qualcosa – pur non molto coraggioso, andando su nomi con un pubblico più o meno consolidato e poca innovazione – è già un passo avanti. È allora tempo allora di bilanci e del pagellone di quanto ho visto.

Quelli che “lasciateci dormire”, voto 3. Ovviamente, c’è chi non ha perso occasione per lamentarsi del casino, della musica che si sentiva fino in casa (capirai, i concerti finiti più tardi hanno staccato alle 23,30, mi spiace se avete perso qualche parola del Grande Fratello), dei rifiuti lasciati in giro e da raccogliere. Che poi sono gli stessi che “Bologna non è più quella di una volta, vent’anni fa sì che qui c’era vita”. Eh certo, ma la colpa è anche di quelli come voi. Mettiamola così: pago una tassa sui rifiuti che neanche McDonald’s, mi piace pensare che almeno chi deve raccogliere il rusco lavori.

Arena Joe Strummer, voto 5,5. Il polverone delle prime file fa molto rock, d’accordo, anche se non asfissiarsi non dispiacerebbe a nessuno. A porre domande, in realtà, è il fatto che mezz’ora di pioggia sia bastata ad allagare l’arena e annullare il primo giorno: a Glastonbury, Leeds, Reading che dovrebbero fare? Su questo c’è da lavorare.

Iron Maiden, voto 8. Senz’altro i mattatori del festival, vuoi per l’arena piena, vuoi per ‘ste scenografie che puoi definire imponenti o tamarre a seconda del giudizio di valore che intendi darne, vuoi perché comunque questi a 60 anni suonano ancora da dio, con un’energia da invidiare. Allora ok, promossi.

Queens of the Stone Age, voto 6,5. Ehi Josh, siamo qua eh. Se ti va di cagarci. Coi Qotsa avevo un conto in sospeso da 6 anni, dall’ultima volta che sono venuti a Bologna regalando uno show come unica data italiana da 35 euro e 55 minuti, con un Josh Homme ubriaco e svogliato. Questa volta aggiungono un quarto d’ora e parecchia qualità: più energia, una tecnica impeccabile, tutte o quasi le canzoni che volevi sentire. E però resta comunque un concerto un po’ corto, con i cinque che sembrano avere fretta di svolgere il compitino, cavarsi il dente e tornarsene a casa. Non una parola, non un cenno, non un saluto, e dopo 70 minuti tutto finito. Boh, mi sa che ce l’ho ancora un po’ con voi.

The Pogues, voto 7. Non so, Shane MacGowan a me ha divertito. Con la voce ormai devastata dal whiskey, se ne sente la puzza sin da sopra le colline, snocciola un’ora di canto non tecnicamente irreprensibile e alcune frasi che sfido chiunque tra i presenti a citarmi letteralmente. Come direbbe Homer Simpson, i Modena City Ramblers “sono come la vita, hanno smesso di essere divertenti molto tempo fa. Ma, a differenza della vita, per questo ho una soluzione”. Cioè i Pogues.

The Pixies, voto 7,5. A fine concerto c’era gente che si lamentava della qualità della band, brontolando cose come “Meglio che si ritirino”. Dico solo: vi meritate altri dieci dischi di Ligabue.

Ska-P, voto 6,5. Insomma, passati i 20 anni ad andare in giro a pogare ascoltando personaggi che potrebbero essere i tuoi genitori ma sono ancora conciati come punkabbestia di via Zamboni ti fa effettivamente sentire un po’ a disagio. Ma checcazzo, siamo pur sempre a un festival, divertiamoci senza fare troppo gli schizzinosi, per una volta.


Manic Street Preachers, voto 7,5. Il contesto pomeridiano, con tanto pubblico che ancora doveva arrivare, non valorizza la prima discesa italiana in 16 anni della band gallese. Che però ha ancora tanto da insegnare a tanti colleghi più acclamati.

Miles Kane/Biffy Clyro, voto 7. Divertente e davvero troppo brit il primo, che ci regala anche una cover degli Stones, cazzuttissimi i secondi. Bravi.


The Fratellis, voto 4. Confermo quanto osservato allo Sziget. Dal vivo fanno orrore. Indegni.

Alter Bridge/Millencolin/Pennywise, voto 6 di fiducia. Non so, non mi sembravano malaccio, ma d’altro canto quelle birre non si sarebbero bevute da sole.

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