I 5 migliori episodi delle serie tv del 2016

Il 2016 è stato un anno di gran televisione, va detto. La lista delle migliori serie tv dell’anno è potenzialmente infinita, e dico da subito che di seguito ne mancano alcune certamente notevoli, come “Narcos” o “Stranger things” così come altre probabilmente meritevoli che non ho visto. Ma la classifica che segue mette in fila quelli che secondo me sono stati i cinque migliori episodi tv dell’anno passato, che non necessariamente coincidono con le migliori serie del 2016 (alto contenuto di spoiler). 





5. The OA, “Homecoming”, 01x01 (Netflix)


A fine stagione, la persistente sensazione da “che diavolo sto vedendo?” lascia posto a una domanda più laconica: “perché ho visto questa roba?”. Finito The OA, l’idea è quella di essere stati fregati, di non aver avuto la minima idea di cosa stavi guardando e tu bravo boccalone lì a bocca aperta a credere a tutto, come i cinque discepoli (direi sia la parola giusta) di Praire. La senz’altro voluta ambiguità del finale, la costruzione tra il geniale e il bambinesco della storia che rende praticamente impossibile esprimere un giudizio di merito definitivo sulla serie (mi ha fatto schifo, mi ha entusiasmato? Boh) e nonostante questo non riuscire a smettere di guardare un episodio dopo l’altro, rende The OA un esperimento azzardato ma riuscito. E tutto si inizia a costruire nell’episodio pilota, che magistralmente getta l’esca a cui tu, ingenuo, inevitabilmente abbocchi. Una ragazza riappare misteriosamente a casa dopo essere sparita da anni, di più, scompare cieca e torna che non lo è più; comincia a fare cose strane e a raccontare una storia a un’accozzaglia di perdenti stile “Breakfast club”. E mentre chiede loro di crederle senza se e senza ma, lo sta chiedendo a te. Il tutto poi si gioca su questo, e sul concetto semiotico di sospensione dell’incredulità (quel patto tra narratore e lettore o spettatore per cui si accetta di credere che quel che si legge o vede sia plausibile) portato all’estremo. Per poi sentirsi stupidi e ingannati, anche se poi non si capisce davvero quale sia la realtà dei fatti, quando un altro concetto sociologico entra in gioco, quello della profezia che si autoadempie, cioè di un’affermazione falsa nelle premesse che diventa reale nelle conseguenze solo per il fatto di essere stata pronunciata. Forse la storia di OA non era vera, ma ha avuto effetti reali.   


4. The Walking Dead, “The day will come when you won’t be”, 07x01 (Amc/Fox)


Ok, la nuova stagione di The Walking Dead è a lunghi tratti una noia mortale, come il franchise d Amc ci ha purtroppo abituato ormai da anni, rimpinzandoci di puntate riempitivo per allungare il brodo e ripetendo sempre gli stessi schemi: nuova comunità/diffidenza/accettazione/arrivo nuovi cattivi/qualcuno muore/guerra/nuova comunità, repeat. E ok, il personaggio di Neagan, potenzialmente grandioso, s’è andato perdendo in questo tirare la corda: sì, lo abbiamo capito che è malvagio, sadico, despota e tutto il resto, non c’è bisogno di un’insistenza che diventa una voce virtuale che ci dice “ehi, guarda che lui è cattivo”. Che poi si potrebbe discutere sul fatto che se dalla prima puntata avessimo visto la storia raccontata dal suo punto di vista, forse faremmo il tifo per lui e il cattivone sarebbe Rick, uno che letteralmente strappa la gola delle persone a morsi. Ma, seriamente, si può restare indifferenti al primo episodio di questa stagione? Per molti si è andati troppo oltre, e io stesso credo ci sia stato un momento in cui mi sono sentito fisicamente male guardandolo. Ma, in fondo, non è questo che t’aspetti da una serie horror? O ci siamo dimenticati che TWD è questo, prima di diventare una specie di soap opera post-apocalittica?


3. Love, “Andy”, 01x06 (Netflix)


“Love” è una dramedy in cui si ride e si piange, ci si angoscia e ci si diverte. È una storia di amore disfunzionale, di due personaggi talmente incasinati e incoerenti con se stessi da risultare non stereotipati, credibili e reali come pochi altri visti in tv. Tifi per l’uno, tifi per l’altra, poi un secondo dopo fanno una cazzata senza senso e mandano tutto a monte. Come noi, no? A ritrovarsi perennemente ad essere la persona giusta al momento sbagliato. Avrei potuto scegliere il pilota, con quella meravigliosa discussione in macchina sulle ingannevoli love story hollywoodiane, oppure il finale di stagione quando Mickey finalmente si mette a nudo e accetta la sua vulnerabilità. Scelgo il momento di passaggio, con l’assurda scena in metropolitana che coinvolge lei, Andy Dick e una bustina di sassofrasso (“Yeah, basically… ecstasy”), e Mickey e Gus che finalmente decidono di vedersi per un vero appuntamento, anche se evidentemente nessuno dei due ne è capace.


2. Bojack Horseman, “That’s too much, man!”, 03x11 (Netflix)


Forse l’ultima volta che avete pianto guardando un cartone animato è stato alla morte della mamma di Bambi. Lo rifarete dando l’addio a Sarah Lynn, dopo il primo momento davvero sincero della sua vita e di quella di Bojack, in un commovente sguardo nella loro umanità nascosta. Ah, certo, Bojack è un cavallo e tutt’attorno il suo mondo è popolato da animali antropomorfizzati, ma è uno dei personaggi più complessi e incasinati del 2016, distrutto dentro da una spirale di cinismo ed egoismo dalla quale non riesce ad uscire e che finisce tragicamente per travolgere forse l’unica persona che avrebbe potuto essergli affine, la stessa che lui avrebbe dovuto proteggere e della cui innocenza perduta e prematura scomparsa si fa concausa. Nascosta dietro a un cartone animato e a una commedia c’è una storia profondamente tragica ed attuale, come si può notare dalla puntata “Fish out of water”, altro capolavoro tecnico e drammatico manifesto dell’alienazione moderna.


1.Black Mirror, 03x04, “San Junipero” (Netflix)



“Heaven is a place on earth”, e più nello specifico un database da qualche parte in California. Al primo posto della classifica c’è, senza esitazione, uno dei più ambiziosi, coraggiosi, complessi e toccanti momenti di tv visti recentemente. Sessanta minuti che infrangono con delicatezza e senza quasi che ce ne si accorga più tabù di cinquant’anni di sceneggiati Rai: morte, aldilà (senza toccare visioni religiose), omosessualità, coppie miste, eutanasia. “San Junipero”, anche dopo il finale, lascia con più domande che risposte, e la più angosciante è: cosa faresti se ti dicessero che puoi ingannare la morte, e scegliere di uploadare una versione 2.0 della tua anima in una specie di villaggio vacanze eterno invece che affrontare l’irrisolvibile mistero di quel che c’è dopo? Nello stile Black Mirror, ogni dettaglio è curato maniacalmente ed è un indizio, anche se solo riguardando la puntata si possono cogliere tutti: Yorkie che non vuole giocare a un videogame in cui si vedono due auto che si scontrano (e sapremo solo dopo che è perché in un incidente in auto è rimasta paralizzata), i dialoghi a letto tra lei e Kelly, il ragazzo che in sala giochi la avverte di come “il finale sia diverso se si è in uno o in due giocatori”, la colonna sonora, che in “San Junipero” è parte integrante della narrazione. “Can’t get you out of my head”, si sente quando Yorkie cerca disperatamente Kelly in giro per le varie epoche; “Fake” e “Living in a box” mentre le due ballano da Tucker’s al primo incontro, quando ancora tutti i segreti sono intatti; e nemmeno “Girlfriend in a coma” può essere lì per caso. Poi, ovviamente, quella che è l’asse portante di tutta la narrazione, “Heaven is a place on earth”, la superhit anni ’80 che qui va intesa in senso puramente letterale. Anche come chiave di interpretazione di un finale ambiguo, che in fondo cambia se si gioca in uno o due giocatori. Prima dei titoli di coda, quando Kelly dice “sono pronta per quel che viene dopo” e poi si vede la bara col nome suo e dei suoi famigliari, gli indizi dicono che la sua scelta sia stata per il salto nell’ignoto, tenendo fede alla decisione di non effettuare il passaggio. Dopo i titoli la si vede invece raggiungere Yorkie in spiaggia, e anche se sappiamo che a San Junipero se desideri una cosa la hai e dunque quella potrebbe essere solo una simulazione virtuale di Kelly, la canzone che prima ci dice “Ora non ho più paura” mentre le due amanti corrono assieme in macchina, e poi continua con “Oh baby, sai cos’è l’unica cosa che conta? Dicono che in Paradiso l’amore sia la cosa più importante, noi faremo del Paradiso un posto sulla Terra” mentre un braccio meccanico archivia i loro chip San Junipero, sembrano dire che il passaggio è stato effettuato. Si è allora parlato di questo come un episodio sui generis per Black Mirror, un finale tutto sommato lieto per una serie abituata a chiusure cupissime e senza speranza. Ma lo è davvero, un lieto fine? Oltre al fatto che parliamo di un finale in cui due persone muoiono dopo una vita di sofferenze, restano tante domande. La prospettiva di San Junipero sembra confortante confrontata con la completa incertezza del dopo morte, ma Kelly in cuor suo non voleva andare lì, avrebbe preferito seguire l’esempio del marito e della figlia. In altre parole, ha fatto una cosa che non desiderava e che avrà ripercussioni eterne, solo per non ferire Yorkie. E se esistesse un vero aldilà, classicamente inteso, e per accontentare una donna conosciuta da pochi mesi si fosse negata per sempre la possibilità di rivedere le due persone più importanti della sua vita? Ancora, e se ci fosse qualcosa come la reincarnazione in una nuova vita, vera, e la si fosse persa per un paradiso virtuale in cui non si riesce a provare nulla, come prova l’esistenza di un posto come il Quagmire (il Purgatorio di San Junipero)? Per non parlare del fatto che, pure se questo aspetto non viene accennato, il sistema San Junipero ha tutta l’aria di qualcosa di molto costoso: insomma, il Paradiso è un posto sulla terra, sì, ma solo se si è ricchi, probabilmente. Tante domande senza risposta, ma forse sarà meglio iniziare a pensarci, dato che le previsioni scientifiche dicono che l’upload della coscienza su computer è una tecnologia verosimilmente perfezionabile entro un centinaio d’anni.

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