Per amore solo per amore


Dev’essere destino. Il rapporto tra me e i live dei Pearl Jam finisce sempre per essere costellato di tormenti, imprevisti e mille difficoltà. Come ogni storia d’amore che si rispetti, suppongo. La prima volta, a Verona, fu un nubifragio: tutta quell’acqua, i sacchetti di plastica nelle scarpe, gli ombrelli negli occhi. E vabbe’, c’è di peggio. Tre giorni dopo, a Torino, dopo un’odissea firmata Trenitalia, ci fu la notte all’addiaccio, l’assopirsi sulla pensilina del bus prima e su una panchina del parco poi, con un freddo ladro e la paura di svegliarsi con un rene di meno. Un paio d’anni dopo, a Mestre, toccò alla tromba d’aria, al palco crollato, alla paura, alle telefonate a casa per dire “Se state ascoltando la radio non preoccupatevi, io sto bene!”. Forse per questo il ritorno a Venezia, nel 2010, fu persino troppo facile: il viaggio in bus, addirittura i braccialetti per la vasca sotto al palco. Troppa grazia, non c’è gusto, così.



Per il tour 2014 ci avevo sperato che andasse ancora più liscia: concerto a Bologna, accredito, serenità. Niente, Milano e Trieste. Be’, pazienza. Si va in ricevitoria, e penso ingenuamente di farla franca. A Mestre il biglietto costava 45 euro, si fece fatica a raggiungere le 40mila presenze. Ora, per qualche assurda ragione, il prezzo è raddoppiato. Poi i Pearl Jam hanno appena fatto il loro peggior disco di sempre, capirai se riempiono due stadi. Infatti. Alle 11,01, a sessanta secondi dall’apertura delle prevendite, lo Zamboni Store sembra il mercato del pesce. Nella sala corrono voci incontrollate e pazzesche, si dice che Milano sia già sold-out. E che abbia segnato anche Zoff di testa su calcio d’angolo, certo. Dalle macchinette escono biglietti a caso, le ultime disponibilità per le due date. “Ci sono tre biglietti per Milano Terzo Anello, chi li vuole?”, urla un commesso. “Ecco, ora ne stanno uscendo due per Trieste prato”. Ancora un po’ e sarebbe partita l’asta. Arrivato baldanzoso per prendere un biglietto per Milano Prato Inner Circle me ne torno con due per Trieste Prato normale, pronto ad ogni scorrettezza del caso per accaparrarmeli. 

Sorvolando sulla demenziale gestione dell’evento da parte di Live Nation, che a mezz’ora dall’apertura delle vendite non aveva ancora comunicato i prezzi di San Siro né se le ricevitorie fisiche avrebbero venduto i biglietti in contemporanea con l’online. Alla fine, anche stavolta l’atto d’amore è andato a buon fine. Trieste è lontana. È una domenica, lunedì si lavora. Un modo si troverà, sticazzi. Del resto quella pioggia ancora la ricordo; il freddo della panchina del parco di Torino lo sento addosso, il dormire con un occhio aperto e le orecchie tese quando passava qualcuno accanto a noi, leggendo parole che allora significavano tanto, pure; lo smarrimento e la paura di Mestre seguite dallo scoramento per lo show annullato e gli scontrini omaggio inutilizzati restano nella mia memoria. Sempre un sacco di difficoltà. Ma ne è valsa la pena? Eccome. 

E allora, Trieste, andiamo, who cares? Fino al prossimo imprevisto, si capisce. 

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