Dead walkman running
Qualche giorno fa in bus ho visto un ragazzo con un lettore Cd. Intendo, quelli portatili
che usavamo per ascoltare musica fuori da casa in epoca pre-smartphone,
ma anche pre-iPod e compagnia. Mi sono commosso. Quasi me l’ero
scordato com’era, essere appassionati di musica allora, quando in
vacanza – ma questo valeva poi per ogni spostamento superiore ai 10
minuti, bus, macchina o piedi che fossero
– mi portavo sempre appresso quest’oggetto assurdamente ingombrante e
una valigetta di cd che Ryanair non avrebbe accettato come bagaglio a
mano. Questo fardello addosso, e le tracce che saltavano a ogni buca in
strada, e cd che in buona parte erano masterizzati e bruciavano
lentamente il lettore ottico del lettore, e sapevi che dopo un po’
avrebbero smesso di funzionare.
A ripensarci oggi, con l’odierna
facilità e immediatezza d’accesso alla musica, sembra impensabile, pure
per me. Ma credo che mentre si guadagnava qualcosa da un lato si sia
perso qualcosa da un altro. C’è che una volta la tua collezione di
dischi parlava di te. Sulle mensole vedevi delle copertine, ma dietro
c’erano le ore che avevi passato in negozio a sceglierle, ascoltando le
anteprime di decine di album prima di decidere quale prendere, c’erano i
soldi spesi per comprarli e le rinunce fatte per averli, c’era il
confronto con gli amici per stabilire chi avrebbe comprato l’originale e
chi avrebbe fatto le copie. Ogni disco aveva la sua storia, ogni disco
portava un pezzo della tua storia. Ancora ricordo il primo cd che
comprai (prima c’era stata qualche cassetta, roba da Jurassic Park): era
“Enema of the state” dei Blink182 e il mio io 13enne la prese
nascondendola ai miei genitori perché in copertina c’era una pornostar.
Mi ricordo ancora la sensazione rivelatoria che provai la prima volta
che ascoltai “Hai paura del buio?” degli Afterhours. Mi ricordo dov’ero,
cosa facevo, anche se sono passati quasi vent’anni. Facevamo l’amore le
prime volte con l’Mtv Unplugged degli Alice in Chains e ci confidavamo
segreti con quello dei Nirvana. È assurdo che non possieda tuttora il cd
originale del mio album preferito, “(What’s the story) Morning glory?”,
ma so di averne fatto almeno quattro o cinque copie per quanto l’avevo
usurato. Usura, un termine che non esiste più. Oggi è diverso, è facile:
ascolti una canzone su Spotify, se non ti piace l’accantoni, la
dimentichi, e non ci hai perso niente. Né fatica, né tempo, né soldi
sprecati. Da una parte, è fenomenale, è tutto ciò che a 14 anni avrei
desiderato, un archivio infinito di tutto lo scibile musicale
immediatamente accessibile. Quasi una magia. Se sei curioso, una
possibilità di esplorare cose nuove, scoprire, formare e allargare i
propri gusti che nessuna generazione ha mai avuto prima. Eppure, nel
frattempo perdi quel che faceva della musica qualcosa di tuo, intimo,
personale, speciale: quelle canzoni non parlano più di te, non dicono
nulla di chi sei. Non ci sono storie da raccontare, non c’è un legame
personale, solo brani che ti sono piaciuti oppure no, magari selezionati
da un’intelligenza artificiale in playlist asettiche che potrebbero
appartenere a chiunque e non hai fatto nulla per meritarti. E che
passano, senza lasciare un segno. L’offerta è così ampia che non hai più
tempo d’aspettare prima di valutare: se una cosa non ti piace subito,
sarà scartata per sempre perché ne hai altre cento in coda, che puoi
ascoltare adesso senza bisogno di dare seconde opportunità. Ed è per
questo che non nascono più icone immortali, non a caso l’ultimo fenomeno
culturale di massa nel rock son stati anche gli ultimi dell’era
pre-Internet, gli Oasis. Si formassero oggi e iniziassi ad ascoltarli
dalle prime demo auto-caricate su YouTube, faresti spallucce, li
accantoneresti e te ne dimenticheresti in cinque minuti. Dagli sei mesi,
e resteranno con te per sempre.
Conosco persone, che so per certo
ascoltare tanta musica e frequentare regolarmente concerti, che non
hanno mai comprato un cd. E so di essere rappresentante dell’ultima
generazione a cui questo sembra assurdo. Poi penso a quand’è l’ultima
volta che ho comprato un disco perché curioso di ascoltarlo, e non per
collezione, e so che quel qualcosa l’ho perso anch’io.
Ps: non
masterizzate i dischi, la pirateria è un reato, e del resto voi non
rubereste mai un televisore, come diceva la pubblicità progresso più grottesca di sempre, quella con musica da rave che metteva una gran
voglia di andare a svaligiare un negozio di elettrodomestici
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