Il complesso del Primo Maggio
In un Primo Maggio di nullafacenza, in attesa della partita
della Fortitudo, ho deciso di auto-infliggermi il calderone di retorica, approssimazione
socio-politica, mediocrità musicale che è il concertone di Roma. In particolare
la fascia pomeridiana, prima dell’arrivo di gente come gli Editors che non
capisco come siano finiti lì in mezzo, è tradizionalmente la rappresentazione
della musica di un popolo che esiste ancora solo nelle menti dell’organizzazione
del concertone del Primo Maggio e nei ricordi delle feste dell’Unità di vent’anni
fa. E non avendo mai tentato questo esperimento sociale così sistematicamente, mi
ci avvicino curioso di capire quanto la realtà alternativa in scena in piazza San
Giovanni si collochi lontana dal 2017. Aspettandomi uno show fondato
principalmente su gente che sembra non lavarsi i capelli da due settimane e su
quella patchanka che nel mondo reale credevi morta e invece continua a
riapparire a tradimento, come un vecchio stalker.
L’assenza dalla scaletta dei Modena City Ramblers mi spiazza,
ma l’avvio pare confermare le sensazioni. Dopo un’invettiva d’apertura a suon
di microfoni gracchianti e luoghi comuni, aprono la giornata gli Apres La
Classe, che dopo due pezzi trascurabili collocabili in qualsiasi contesto da
fuorisede salentino d’inizio 2000; prevedibilmente si giocano “Paris”, una personale
madeleine canora che sa di circoli Arci truci, bottellon in piazza Verdi, feste
universitarie bagnate da vino in cartone a un euro servito in bicchieri di
plastica presi in stock da 500 al D+.
Poi arriva Clementino, che mi ricorda che la nuova sfida al
capitale ora si gioca sul territorio del rap, ma la prima cosa che ci dice è
ricordare che “vengo dai centri sociali”, giusto per non allontanarsi troppo
dal contesto. Poi escono un paio di band che dovrebbero rappresentare le novità
del contest per emergenti, e se non altro hanno il pregio di non sembrare i
bonghisti che ci affliggono ogni volta che vogliamo berci una birra in piazza o
al parco. Ogni mia simpatia per gli Incomprensibile Fc cade però nel momento in
cui vengono definiti rock-step (cit.). Non manca la prima maglietta “Disobey”
col facciotto di Guy Fawkes (Warner Bros.©,
ma no alla kasta!): destra, Renzie, beccatevi questa. Nel mentre scopro che
questa è solo l’anteprima del concertone, quindi per decoro sorvolerò su alcune
performance agghiaccianti da recita scolastica cui assistiamo impotenti nella
mezz’ora successiva.

Quando pensi di avere visto tutto, sperate di non avere
finito i bottellon di cui sopra, perché ecco l’Orchestra Popolare di
Saltarello, e si torna a quell’atmosfera da festa dell’Unità di qualche
squallida provincia, seguita da Mimmo Cavallaro e Teresa De Sio, continuando a
perpetrare l’idea che al sud esistano solo due generi musicali. Pur trovando
sollievo nell’immaginare Emiliano che si rompe i legamenti ballando su una di queste
canzoni, dopo un’ora ad ascoltare sempre quelle note vien da chiedersi se non
avere nemmeno una fisarmonica o usare più di tre accordi ti faccia passare per
nemico del popolo.
Si viaggia veloci verso la parte di scaletta che il
concertone ha delegato agli organizzatori del MiAmi, e a occhio e croce i primimaggisti sono finiti, ma sfortunatamente sono quasi le 18 e devo staccare, svuotato di vita e speranze per il futuro, e
non vedrò la parte serale dello show. Però posso già immaginare che a questo
punto Brunori sembrerà John Lennon.
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