Non ci meritiamo un festival rock. Ma tutti dovrebbero andarci
C’è un posto dove puoi ascoltare qualche decina di
super-concerti in quattro giorni, mangiare schifezze senza sentirti in colpa,
se non sei pigro bere gratis raccogliendo i bicchieri usati e portandoli al banco riciclaggio, prendere il sole, campeggiare, andare in
discoteca, conoscere nuovi amici e perderli per sempre un’ora dopo. Un posto
dove sentirsi liberi, anche se sai che poi finisce. In realtà ce ne sono vari,
ognuno con la sua peculiarità, sparsi per l’Europa. Ma non in Italia. Anche il Rock Werchter, nel parco dell’omonima cittadina vicino a Bruxelles e mia casa nell’ultimo week-end, è come ogni festival rock molto più della musica.
Certo, quella è fondamentale, e forse tra i grandi raduni europei è tra
quelli in cui la parte dei live è più al centro della scena piuttosto che una
parte del tutto. Gli headliner di maggior richiamo dovevano essere i Foo
Fighters, ma caso ha voluto che Dave Grohl si spaccasse una gamba due settimane
prima. Poco male allora, ci si può dividere tra i Faith No More che li
rimpiazzano sul main stage e Sbtrkt nella sauna di uno dei due palchi al
chiuso. Ma il top della prima giornata è stata l’eccellente Florence and the
Machine (anche se ci siamo attardati da Patti Smith e ci siamo gustati l’inizio
da dentro i bagni) e i Chemical Brothers che hanno spaccato di brutto, per
dirla tutta. Il giorno dopo da segnalare i Mumford & Sons, uno dei live che
vanno visti almeno una volta nella vita, e il più che sorprendente Pharrel
Willimas, di certo il concerto più divertente del Rock Werchter. Il sabato ecco
Noel Gallagher, sono di parte e commentare non serve, basti dire che vedere “Don’t
look back in anger” cantata da 60mila persone, beh… Ancora, Lenny Kravitz di
sfuggita, Prodigy dall’impatto devastante per poi chiudere la domenica con un’abbuffata
che comprende Kasabian, The Script, Counting Crows, Vaccines e gli outsider Die
Antwood che hanno messo a fuoco il bollente palco coperto. Poi i tanto attesi
Muse, che mi confermano che non bisogna mai dare seconde opportunità: a Leeds nel
2011 li snobbai dopo 5 minuti per vedere 2manydjs e Pete Doherty che
strimpellava sbronzo una chitarra acustica, stavolta li ho visti per intero e
sono stati i più noiosi del festival. In una parola, sopravvalutati.
La domanda a questo punto è la soltia. Perché laddove in tutta Europa si riesce
ogni anno da anni, in Italia si è sempre fallito, o neppure tentato? Le ragioni
sono tantissime, ed è significativo che il festival più vicino al concetto
europeo di festival che avevamo, il Rototom, sia stato fatto diventare
effettivamente europeo, nel senso che ha dovuto traslocare in Spagna. Per dirne
alcune: burocrazia, tipologia di pubblico, leggi senza senso e al servizio solo
di chi passa il tempo a lamentarsi di ogni cosa e non ha la tolleranza né
l’intelligenza di capire che qualche giorno di casino e disagio valgono un
ritorno economico, culturale, una bella immagine per la propria città. In altre
parole, tutte cose che non verranno in tasca a me ma fanno bene alla comunità
di cui faccio parte, e quindi dovrebbe essere circa la stessa cosa. Qui
parliamo di un festival che chiude per almeno una settimana qualche chilometro
di una strada che collega due centri abitati, a due passi dalla cittadina di
Werchter e con alcune case lungo il percorso che porta dai campeggi alla zona
concerti, con decine di migliaia di persone di passaggio a ogni ora del giorno
e della notte. Non voglio partecipare al festival? Ok, accetterò di dormire
poco o comprerò dei tappi, altrimenti so quando prendere le ferie l’estate
prossima.
Quindi la birra scorre a fiumi (solo quella, e la scelta di bandire i
superalcolici nella zona concerti aiuta), immagino pure la droga (in realtà
molta meno di quanto ci si potrebbe immaginare, o comunque meno di qualsiasi
bar, discoteca o ufficio di manager dell’alta finanza), ma non c’è mai nessuno
che è davvero molesto o, figuriamoci, violento. C’è chi vuole scherzare con te,
ma se non ne hai voglia lo scansi con un sorriso e finita lì.
Tutto ciò è
davvero fondamentale se devi vivere per 5 giorni 24 ore su 24 in mezzo a un
parco con 90mila persone stipate dentro. Perché c’è un’inconscia consapevolezza
che perché tutto ciò sia possibile bisogna che ogni ingranaggio funzioni alla
perfezione, che ognuno tenga a mente che in un festival vivi una realtà
parallela lontana dai problemi della vita reale, che può rimanerlo solo se
ognuno può sentirsi sereno. Accettare l'idea che ci siano regole da seguire affinché una festa funzioni e tutti possano avere diritti, a partire dal diritto a divertirsi. E che se giochi ad aggirare le regole e i doveri poi non puoi pretendere di avere diritti. Insomma, nelle file per il bere, il bagno o il cibo
nessuno si sognava di passarti davanti, e se lo facevi tu invece che incazzarsi
ancora un po’ e ti chiedevano scusa per l’intralcio, perché se l’hai fatto
avrai avuto le tue ragioni. Non a caso, non ho aspettato mai più di 3-4 minuti
per prendere da bere, mangiare, pisciare, nonostante la mole di gente: da noi
andrebbe che “ve’ questi coglioni che si fan passare davanti, ora ne approfitto
e lo faccio sempre”, col risultato che dopo cinque minuti davanti a ogni bar ci
sarebbe una sorta di pogo e una calca disordinata che si dimena… come dite, è
una scena famigliare?
E allora stai in giro giornate intere senza nessuna ansia che qualcuno possa
rubarti in tenda, coinvolgerti in una rissa da ubriachi, aggredirti, e senza
nessun timore di poterti sentire solo anche se perdi di vista gli amici, perché
ci sarà sempre qualcuno disposto a dividere un drink, una chiacchiera o solo un
sorriso con te. E allora sì che ti puoi sentire libero sul serio.
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