"Chasing yesterday", Noel e un passato inutile da rincorrere


Noel Gallagher' High Flying Birds, "Chasing yesterday"
Ascoltare sì o no: 88%
Brano migliore: "Riverman"



Allora, mettetevi il cuore in pace, innanzitutto. Gli Oasis se ne sono andati, e anche dovessero tornare non saranno mai grandi come una volta, l’ha detto pure Noel Gallagher, che non è che sia uno che difetta di ego. Quindi non cercateli altrove, soprattutto, non pensate di cercarli nel secondo album dei Noel Gallagher’s High Flying Birds. Il titolo “Chasing yesterday” si può leggere proprio come un monito ironico: lo ieri si sta sbiadendo sempre più, inutile che pretendiate che continui a rincorrerlo. il Noel di oggi è un cantautore a tutto tondo che ha la sua autonomia e non merita, né ha bisogno, di essere costantemente messo a paragone con quanto aveva scritto per gli Oasis. E “Chasing yesterday” è un album dannatamente buono, la cui distanza dagli anni passati è più marcata rispetto al predecessore, un album che ha tutto per piacere – o perlomeno essere giudicato con imparzialità – anche a chi la produzione gallagheriana l’ha sempre guardata con malcelato disprezzo. Una recensione alla vecchia, track by track, è forse il modo migliore per raccontarlo.
1. “Riverman”, voto 9. Boom, partenza col botto, anche se una ballad è forse un modo inusuale di aprire un disco. L’intro ricorda la passione di Noel per quel giro di chitarra lì, ma “Riverman” si sviluppa come un solido brano di classic rock 60’s all’americana: sono i Crosby, Stills, Nash & Gallagher. Poi arriva un sax dalle atmosfere floydiane, una base strumentale da brividi lussuriosi lungo la schiena. The perfect tune to-make-love-with.
2. “The heat of the moment”, voto 8. L’abbiamo già ascoltata più volte, il singolo di lancio è il giusto connubio tra pop, dance, indie-rock. Non convince forse quel “nananana” quasi albarniano (“The charmless man”?), ma me la immagino dal vivo, a un festival, con la voglia di ballarla e cantarla abbracciati sotto la pioggia. Sì, funziona.
3. “The girl with X-Ray eyes”, voto 7,5. Ad ogni ascolto, il voto è salito. Subito mi aveva lasciato indifferente, ma c’era qualcosa in lei che mi faceva venire voglia di riascoltarla. È un vago senso di familiarità, e quando meno te ne accorgi la stai canticchiando. Maledetto Noel, me l’hai fatta un’altra volta.
4. “Lock all the doors”, voto 8. Vecchi nostalgici oasisiani, è il vostro (nostro) momento. Abbozzata e poi abortita nel lontano ’92, è la traccia più britpop del disco, sarà forse quell’intro e quella base alla “Morning glory”. Non c’è dubbio, ha il potenziale della killer song. Ma lascia un senso d’incompiuto e d’occasione non del tutto colta, e sappiamo esattamente perché. Vogliamo tutti bene a Noel, ma quanto di più avrebbe potuto dare questa canzone, quanta più gloria avrebbe potuto chiedere, se fosse stata cantata da Liam (versione ’94)? Questa canzone è una buona risposta alla domanda: gli Oasis avrebbero potuto essere gli Oasis anche senza Liam? No, ovvio.
5. “The dying of the light”, voto 8. Altro pezzo che già avevamo ascoltato in versione demo da 64 kb/s. Ballatone in puro stile Gallagher, eh, scritta negli anni ’90 avrebbe pure potuto sostituire “Wonderwall”. Ma la versione ripulita, prodotta in studio e registrata come Dio comanda non aggiunge molto – o almeno non quanto speravo – alla demo. Quel piano e quegli archi funzionavano su “Wonderwall”, ok, ma qui davvero servono?
6. “The right stuff”, voto 7. Il brano probabilmente più a sorpresa. Chi l’avrebbe detto che il demone di Syd Barret prima o poi s’impossessasse di Noel Gallagher e gli facesse scrivere un brano che tra visioni, controcanto femminile, sax e assoli eterei richiama e si diverte a citare in ogni modo i Pink Floyd?
7. “While the song remains the same”, voto 6,5. Puoi dire che è un brutto pezzo? No. Il problema è che non puoi dire molto altro, perché il brano fa più promesse di quelle che mantiene. Peccato, perché dietro c’era un’idea niente male.
8. “The mexican”, voto 6,5. La canzone con Johnny Marr è “Ballad of the mighty I”, ma è questa che sembra uscita dal disco solista dell’ex Smiths, più un pizzico di Josh Homme. Solida e orecchiabile, non farà la storia, ma se decidi di metterla in playlist non farai brutta figura.
9. “You know we can’t go back”, voto 8. Sai che non possiamo tornare indietro, Noel ci tiene a ribadire il concetto. Un pezzo da tre minuti e spiccioli di pop-rock spensierato e di ispirazione springsteeniana, in cui The Chief dà l’impressione, soprattutto, di starsi divertendo un mondo. E noi con lui.
10. “Ballad of the mighty I”, voto 6. Niente, il secondo singolo resta la canzone che mi convince meno dell’intero disco, anche se nell’insieme fa una figura migliore che presa isolata dal contesto. La parte migliore rimane il finale quasi in sospeso, con quel “yes, I’ll find you” che risuona come un’eco.

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